Kuntal Joisher, l’alpinista vegano che conquista le montagne
«Scalare l’Everest va al di là dell’immaginabile», soprattutto se vuoi farlo da vegano. Quindi con attrezzatura cento per cento animal free. L’alpinista Kuntal Joiseher, indiano di Mumbai, è riuscito nell’impresa: arrivare in cima all‘Everest dal versante tibetano, con una tuta d’alta quota senza piuma d’oca. Un record che non era mai riuscito a nessuno. In realtà, a Kuntal non piace parlare di record: «Non mi interessano i primati che mi danno la fama, l’alpinismo è un viaggio molto personale e spirituale. Allo stesso tempo, però, sono molto importanti la pubblicità e l’attenzione che ottengo quando le persone mi chiamano il primo vegano al mondo ad aver scalare l’Everest. Mi permette di parlare di veganismo, di diffondere la mia parola e la speranza di poter rendere le persone più consapevoli delle loro scelte, e influenzarle a vivere una vita più sostenibile e senza lo sfruttamento degli animali. L’obiettivo è quello di creare un Pianeta più compassionevole e sostenibile».
Fino al 2009, Kuntal non aveva mai visto la neve. Lui è un ingegnere programmatore di software, nessuno della sua famiglia ha mai scalato una montagna, né tanto meno ne ha mai avuto la passione. Poi ci sono stati tre eventi che hanno cambiato la sua vita: la sensazione che ha provato quando si è rotolato nella neve per la prima volta, stato d’animo che ha giurato che avrebbe perseguito ancora e ancora per tutta la sua vita, quando ha ammirato l’Everest illuminato dalle luci dorate del tramonto, e l’incontro con Save the Duck, brand vegano e altamente tecnologico, l’unico che gli ha detto “sì”, per realizzare una tuta d’alta quota sintetica, quando tutti gli altri gli avevano risposto che non era possibile: «Save the Duck ha la mia fiducia non solo perché ha sponsorizzato la mia spedizione sull’Everest, ma questa azienda ha la mia stima perché il loro prodotto è al 100% vegano, all’avanguardia, internazionale, mi ha tenuto al caldo su uno delle vette più fredde e durante le notti più difficili che io abbia mai provato».
La prima volta sull’Everest di Kuntal Joisher non è stato lo scorso maggio, ma risale al 19 maggio 2016. Kuntal aveva realizzato il sogno della sua vita. Ma proprio, là, sulla vetta più alta del mondo si è chiesto se lo aveva fatto davvero. La risposta è stata no. Perché la sua felicità era costata la vita agli animali con cui è stata fabbricata la sua tuta termica. È lì che la sua coscienza non si è più voluta compromettere un’altra volta. «Sono molto felice che, finalmente quest’anno, lo scorso maggio, sono stato in grado di scalare l’Everest in modo vegano e che nessun animale ha dovuto soffrire o morire perché il mio sogno diventasse realtà».
Quando è nata la passione per la montagna?
«Era il 2009, quando sono andato in vacanza con mia moglie Dipti a Shimla, nella parte indiana dell’Himalaya. Avevamo un obiettivo molto semplice: vedere la neve. Dopo sei giorni di viaggio non eravamo ancora riusciti a vederla, così abbiamo percorso 80 chilometri per arrivare a Narkanda, dove ci avevano assicurato che l’avremmo trovata. Ed effettivamente è stato così. Sia Dipti che io eravamo estasiati, come bambini piccoli in un negozio di caramelle. Giocavamo nella neve e in quel momento ho sentito qualcosa che non avevo mai provato prima: mi sono sentito vivo nel momento presente, tutte le preoccupazioni per il futuro si erano improvvisamente dissolte. È stato magico! Per la prima volta ero in pace con me stesso, e provavo una vera, profonda felicità. E proprio in quel momento ho deciso che per il resto della mia vita avrei inseguito questo stato d’animo ogni volta che ne avrei avuto la possibilità. Nel 2010, poi, ho deciso di fare il trekking per il campo base dell’Everest in Nepal. Durante quell’esperienza ho viso l’ultima luce del tramonto che illuminava l’Everest, bruciava di un colore dorato, come se qualcuno avesse dato fuoco alla neve e mi sono ripromesso che un giorno sarei salito in cima».
Ha mai applicato l’ingegneria alla montagna?
«La laurea in ingegneria mi ha insegnato l’importanza del duro lavoro, della disciplina e del rigore. E sì, queste non sono abilità informatiche, ma sono importanti abilità di vita che possono essere utilizzate in qualsiasi situazione. Poi ci sono altri due concetti di informatica che mi hanno aiutato immensamente attraverso l’alpinismo e la vita: l’applicazione della forza bruta e l’ingegneria inversa. La forza bruta mi ha insegnato a non mollare mai e a continuare a provare ancora, ancora e ancora. Non avendo basi da alpinista, soprattutto nei primi tempi, ho usato parecchio il reverse engineering per capire come diventare un forte alpinista. Quindi sì, ho usato molti concetti ingegneristici durante l’alpinismo e la vita personale. Sono un ingegnere e alla fine lo rimarrò sempre».
Quando è diventato vegano?
«Sono nato in una famiglia vegetariana e ho sempre creduto che gli animali sono esseri senzienti ed emotivi e hanno tanto diritto di vivere liberamente e felicemente quanto noi. Nel 2001 mi sono trasferito negli Stati Uniti per fare il master e posso dire di essere diventato vegano dopo una conversazione con il mio compagno di stanza che mi ha spiegato gli orrori dell’industria delle uova, della latte della pelle. Poi ho imparato fatti più scioccanti: gli animali allevati per carne, uova e latte generano il 14,5% delle emissioni globali di gas serra, consumano circa il 70% dei terreni agricoli ed è una delle principali cause di deforestazione, perdita di biodiversità e inquinamento delle acque. Imparare e sapere tutto questo mi ha fatto perdere il sonno e la tranquillità, dovevo per forza prendere una posizione più netta dall’essere vegetariano. Sono ormai quasi 17 anni che sono vegano ed è la migliore decisione che abbia mai preso in vita mia».
Come bilancia la sua dieta per fare alpinismo?
«La mia dieta non è mai stata un problema. Ho fatto parte di oltre 25 spedizioni di arrampicata in Himalaya e il fatto di essere vegano non ha rappresentato un limite, neanche durante la salita all’Everest lo scorso maggio. Rendere vegano il menu del cibo della spedizione non è poi così difficile. Ho lavorato con successo con il personale di cucina persino in una regione remota come la calotta polare settentrionale nella Patagonia cilena. Quando mi alleno mangio cibi integrali a base vegetale, con basso contenuto di grassi e alto contenuto di carboidrati. Adoro mangiare frutta, verdura, fagioli, lenticchie, cereali integrali, datteri, noci, semi e questa dieta è miracolosa per me, mi riprendo molto più velocemente anche quando faccio alcuni degli allenamenti più massacranti, ma soprattutto è lo stato mentale che ne beneficia, è la concentrazione che ho da quando ho cambiato stile alimentare: sapere che nessun animale è morto per me per perseguire i miei sogni mi dà la massima tranquillità per concentrarmi e realizzarne altri. Quando parto per una spedizione, l’alimentazione cambia a seconda del posto. In Himalaya è tutto più semplice perché il cibo tende a essere vegetariano quindi è più facile renderlo vegano, mangio stufati di verdure, curry, frutta, lenticchie, fagioli, zuppe, pane integrale, riso, patate, pasta, noodles… ».
Cosa ha mangiato durante la salita all’Everest?
«Al campo base dell’Everest e del Lhotse ho mangiato praticamente tutto fresco, dal riso sbattuto, al porridge di semola o avena, pane e curry indiani fritti, pane tibetano, frittelle, lenticchie e riso, pasta, patatine fritte, hamburger e diversi prodotti alimentari indiani, ovviamente tutti vegani. I nostri fantastici cuochi Ngima Tamang e Anup Rai ci hanno persino preparato una torta vegana! Oltre il campo base numero due sono sopravvissuto principalmente a poche cose: elettroliti e polveri energetiche, pasti liofilizzati, avena istantanea con latte di soia, biscotti Oreo, datteri secchi, fichi, frutta secca come kiwi, ananas, papaia, noci, mandorle e anacardi, e alcune comfort food indiani».
Con cosa sostituisce le proteine animali che per uno sportivo sono fondamentali?
«I nove aminoacidi essenziali non sono certo di dominio esclusivo del regno animale. In realtà, sono originariamente sintetizzati dalle piante e si trovano in carne e latticini solo perché questi animali hanno mangiato piante. Fondamentalmente tutte le proteine animali sono essenzialmente proteine vegetali riciclate alla fine della giornata. Il corpo sa colmare i gap di amminoacidi ridistribuendoli in base al fabbisogno giornaliero. Quindi, se mangi avena al mattino, un’insalata a pranzo e legumi per cena, il tuo corpo riunirà tutti gli aminoacidi essenziali da questi alimenti e li userà secondo necessità per produrre proteine. Non ho mai avuto problemi a costruire massa muscolare magra con una dieta vegana. Tutto, da una mela a un mazzo di foglie di spinaci, a una patata, al tofu, ai fagioli, alle lenticchie, al pane integrale, a una ciotola di riso integrale, al latte di soia, contiene aminoacidi».
Come ha fatto per assicurarsi una attrezzatura adeguata?
«Durante le spedizioni normali non è stato un problema perché molti brand avevano già sviluppato tecnologie alternative vegane, il problema è sorto per l’Everest. Mi sono reso conto che i due pezzi di equipaggiamento critico sarebbero stati la tuta da arrampicata e i guanti da alta quota. La tuta è il capo più difficile perché deve resistere a -50 ° C, e ogni singola tuta presente sul mercato è realizzata in piuma, così come i guanti che mi avrebbero protetto le dita dal congelamento. Prima del mio primo tentativo di scalare l’Everest nel 2014, ho scritto a diverse grandi aziende chiedendo di realizzare una attrezzatura vegana ma mi hanno risposto che era impossibile, che non c’è nulla che in alta montagna possa sostituire la piuma. Così ho fato di testa mia e ho deciso di costruire la mia tuta sintetica usando il Primaloft, ma mi sono reso rapidamente conto che il prodotto finale sarebbe stato così voluminoso e pesante da sembrare quasi un uomo Michelin e ho deciso di mollare il colpo.
Quando è iniziata la collaborazione con Save the Duck?
«Li ho contattati io, non avevano attrezzatura da alpinismo nel loro catalogo, ma accettarono di lavorarci. Dopo circa 8 mesi di ricerca e sviluppo, hanno realizzato la prima tuta al mondo per gli 8000, senza piuma e realizzata al 50% con materiali riciclati: bottiglie di plastica scartate e reti da pesca. Per i guanti ho collaborato con un negozio di trekking a Kathmandu. Il proprietario, Biden, è stato un grande alpinista e ha mantenuto la promessa di farmeli trovare pronti per la primavera del 2018 per scalare il Lhotse (8515 metri, è la quarta montagna più alta della terra, ndr). Il mio sogno di realizzare una vera prima salita vegana di 8000 metri non sembrava più impossibile, avevo anche molta paura, nella zona della morte con freddo gelido e vento forte avrei rischiato la vita, le dita delle mani e dei piedi. La tuta e i guanti non erano mai stati testati in queste condizioni».
Arrivare in cima è facoltativo, tornare indietro è obbligatorio…
«E io ci aggiungo anche senza congelamenti e con tutte le dita. Dal punto di vista del calore e della funzionalità, la mia attrezzatura ha funzionato benissimo. Al momento, la tuta che ho usato per scalare il Lhotse e l’Everest non è in vendita ed è stata costruita su misura per me. Spero che il prossimo passo sia quello di renderla disponibile in modo che gli alpinisti di tutto il mondo possano fare scelte sostenibili».
Scalare le montagne in modo sostenibile è davvero possibile?
«Non penso solo al microcosmo della montagna ma all’intero Pianeta. Come consumatori abbiamo il potere di cambiare il mondo, quello che chiediamo sarà prodotto. Se chiediamo più prodotti senza animali, questa è la direzione che prenderà l’economia. Questo è il mio approccio e questo è il mio attivismo».
Qual è il suo prossimo obiettivo?
«Scalare in modo vegano le 7 cime più alte dei sette continenti, me ne mancano cinque».