Piazza Fontana, la strage impunita. 50 anni senza risposte
«La bomba di piazza Fontana, nell’Italia in bianco e nero del 1969, è stata una prima assoluta, uno choc, non c’era mai stato prima un attentato con morti e feriti. Per questo si dice che piazza Fontana tolse l’innocenza all’Italia». Gianni Barbacetto, giornalista e scrittore, racconta la strage in Piazza Fontana. Il primo atto dell’ultima guerra italiana, edito da Garzanti.
Era il 12 dicembre del 1969, cinquant’anni fa. Alle 16 e 37 di quel venerdì una bomba esplose nell’androne principale della Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano, appena dietro il Duomo. Il bilancio finale fu di 17 morti e 88 feriti. La banca era piena di gente, imprenditori, coltivatori e allevatori erano riuniti per «discutere i loro affari commerciali ed attendere al compimento delle operazioni bancarie presso gli sportelli», dicono i documenti processuali.
C’era un ordigno sotto un tavolo nel salone riservato ai clienti: una scatola metallica con 7 chilogrammi di gelignite. Non l’unico. Pochi minuti prima era stato trovato un ordigno inesploso nella Banca Commerciale Italiana in Piazza della Scala e altri tre esplodono a Roma. Cinque attentati in meno di un’ora, solo a Piazza Fontana è una strage. Seguiranno quelle di Brescia e della stazione di Bologna del 2 agosto del 1980.
Per la verità ci sono voluti quasi quarant’anni e non sono arrivate condanne. «Alla bomba sono seguite indagini e processi che sembrano aver fatto di tutto per confonderci. Adesso possiamo dire che è stata un’operazione di guerra non ortodossa come teorizzato in un convegno già del 1965 che definiva come si doveva combattere il comunismo: operazioni sotto falsa bandiera per screditare l’avversario e far sì che il paese chiedesse ordine» spiega Barbacetto.
Le prime indagini puntano sulla cosiddetta pista anarchica. In questura a Milano viene portato Giuseppe Pinelli, ferroviere milanese. Morirà tre giorni dopo il 12 dicembre cadendo (non buttandosi volontariamente perché colpevole come detto in un primo momento) dal quarto piano del palazzo in un intervallo degli interrogatori guidati dal commissario Luigi Calabresi, ucciso tre anni dopo.
Piero Valpreda è il secondo arrestato. Il tassista Cornelio Rolandi dice di aver caricato un uomo che assomigli a Valpreda, lasciandolo a pochi metri dalla Banca nazionale dell’agricoltura. Una testimonianza non credile, seguita da altre senza basi concreto, ma frutto di depistaggi e manomissioni, «anche opera dei servizi segreti che hanno fatto di tutto affinché i giudici non potessero fare il loro lavoro per arrivare alla verità».
Oggi noi abbiamo una sentenza definitiva. È quella della Cassazione del 2005 che conferma l’assenza di prove sufficienti per condannare gli autori materiali, ma ha una certezza: «a organizzare l’attentato è stato il gruppo neofascista Ordine Nuovo». Responsabili della strage sono Franco Freda e Giovanni Ventura, ma non possono essere processati perché già assolti in via definitiva nel 1987 per lo stesso reato.