Troisi, in mostra a Roma il poeta Massimo
«Quando ho perso mia madre, a diciott’anni, ho provato un dolore smisurato ma avevo paura a tirarlo fuori per non sembrare esagerato (…). Forse è per questo che mi faccio adottare ad ogni buona occasione, dagli amici, sul lavoro. Sono un orfano a vita, perché non ho avuto il coraggio di esprimere il dolore per la morte di una donna che mi sembrava unica. La malattia la conosco bene. Dai sedici ai ventidue ho atteso la possibilità di andare a Houston a farmi operare al cuore (…). È stata una spinta: non volevo passare il resto della vita con gli altri che stavano in cucina e io sul letto. Ho dovuto rinunciare a cose a cui tenevo moltissimo, ma ne ho tentate altre, perché dovevo trovare qualcosa in cui riversare la mia voglia di vivere. Quando mi sono imbattuto nel teatro, ho vinto lo scoglio della timidezza e all’improvviso ho cominciato a sentirmi forte».
Le parole, i testi e i sorrisi di un artista popolare amato e mai dimenticato dal grande pubblico. Quelli che hanno incantato il cinema, il teatro e la tivù con ironia e umorismo attraverso le maschere di uno degli attori italiani più apprezzati di sempre a venticinque anni dalla sua scomparsa. Troisi poeta Massimo è la mostra fotografica e multimediale visitabile gratuitamente dal 17 aprile al 30 giugno prossimo negli spazi del Teatro dei Dioscuri al Quirinale di Roma per celebrare e omaggiare Massimo Troisi. Un percorso espositivo promosso e organizzato da Istituto Luce-Cinecittà con 30 Miles Film in collaborazione con Archivio Enrico Appetito, Rai Teche, Cinecittà si Mostra, curato da Nevio De Pascalis e Marco Dionisi con la supervisione di Stefano Veneruso, e fatto di locandine, video inediti, immagini, interviste, installazioni, riconoscimenti. Rivivendo le tappe più importanti della carriera del comico campano. Oltre ottanta scatti privati, foto a colori e in bianco e nero, carteggi, documenti e poesie per un viaggio emozionale nella vita di Troisi, in un’esposizione che non vuole essere nostalgica e commemorativa ma, con una chiave di lettura pop, segue il fil rouge del suo lato sensibile, intellettuale e autorale. Il poeta e compositore, lo scrittore e sceneggiatore. Cinque ambienti raccontano cronologicamente il vissuto dell’artista con una sua gigantografia all’ingresso realizzata da Pino Settanni, mentre la volta della location è ricoperta da un patchwork, opera visuale di Marco Innocenti per Brivido Pop, con affreschi che riproducono scene d’infanzia, del palcoscenico, fino ai set. C’è la foto del piccolo Massimo già famoso a due anni per lo spot pubblicitario del latte Mellin, ci sono i componimenti poetici e le fotografie che lo ritraggono nelle partite di calcio, sua immensa passione, e quella accanto a Diego Armando Maradona allo stadio San Paolo di Napoli.
Tra cultura partenopea e amore per il teatro, l’incontro con Lello Arena ed Enzo Decaro, con cui darà vita al trio cabarettistico La Smorfia (in origine chiamato I Saraceni) che, grazie ad una comicità tutta dialettale, sarà capace di stregare una nazione anche in televisione con la trasmissione Non Stop di Enzo Trapani. Sino alle comparsate nei programmi di Renzo Arbore e Pippo Baudo. Da San Giorgio a Cremano alle prime esperienze sul palco di via San Giorgio Vecchio in quello che era un garage adibito a teatrino. Donne, religione, temi scottanti come l’aborto, la satira politica e i primi amori di un uomo che ha saputo ridere di se stesso e fatto ridere dagli inizi degli anni ’70 un’intera generazione, giocando con la propria personalità e trasformando la malattia in arte. Due i totem per vedere le interviste di amici, colleghi e affetti più cari che parlano di lui. Testimonianze, tra gli altri, della compagna e co-sceneggiatrice Anna Pavignano, Gianni Minà, Carlo Verdone, Massimo Bonetti, Gaetano Daniele, amico d’infanzia e produttore, Renato Scarpa, Massimo Wertmüller e Marco Risi. Poi le canzoni composte con Decaro e rimaste su carta fino al 2008 quando saranno pubblicate nel disco “Poeta Massimo” che ospita nomi illustri della musica come Paolo Fresu ed Ezio Bosso.
I touch screen dell’allestimento consentono di proiettarsi visivamente nel geniale mondo comico di Troisi al cinema, antieroe nostrano che si è sempre sentito in imbarazzo nel definirsi autore e regista. Dagli anni ’80 con Scusate il ritardo, Non ci resta che piangere insieme a Roberto Benigni, Le vie del Signore sono finite, si arriva alla collaborazione con Ettore Scola nelle pellicole Splendor e Che ora è? con Marcello Mastroianni e ne Il viaggio di Capitan Fracassa, di cui restano nell’immaginario collettivo i frame di uno straordinario Troisi-Pulcinella che Scola definirà «il nostro attore dei sentimenti». Pensavo fosse amore invece era un calesse del 1991 segna il passaggio ad una visione cinematografica ancora più intima e, forse, sentimentale. In mostra anche una lettera dattiloscritta in quell’anno da un giovane studente di Economia, Paolo Sorrentino, che si propone a Troisi come aiutante e assiste alla regia per il suo prossimo film dopo una delusione professionale dovuta al «clima di freddezza e non-umanità» che si respirava nella Capitale. L’ultimo spazio della retrospettiva espone la bicicletta sulla quale Il postino Mario Ruoppolo porta la corrispondenza al poeta Pablo Neruda, ricreando mediante la cartellonistica una dimensione famigliare e domestica con momenti originali del backstage, tra divertimento e complicità insieme al cast, Philippe Noiret, Maria Grazia Cucinotta e il regista Michael Radford. In scena fino al 28 aprile al Teatro dei Dioscuri uno spettacolo sulla vita artistica e privata dell’attore, scritto e diretto da Stefano Veneruso, che ha lo stesso titolo dell’esposizione il cui catalogo, edito da Edizioni Sabinae e Luce-Cinecittà, farà parte di un progetto benefico perché parte del ricavato della vendita sarà devoluta all’Associazione Bambini Cardiopatici nel mondo di cui l’attore era un grande sostenitore. Ricordando Massimo Troisi con la sua inconfondibile risata, come quando in una delle ultime apparizioni al Teatro 9 di Cinecittà disse «Nun ve scurdat’ ‘e me».